Ville Aperte in Brianza 2023

Settembre sarà come sempre un mese dedicato alla cultura e ancora di più alla scoperta del nostro territorio. Ritorna infatti l'evento "Ville Aperte in Brianza" e anche a Cornate d'Adda parteciperemo con visite guidate alla centrale Carlo Esterle!

PRENOTAZIONI ATTIVE dal giorno 8 settembre 2023

 

Date ed orario visite guidate

ORARIO 

Dalle 10:00 alle 17:00 (orario ultimo ingresso)
DURATA VISITE 

40 minuti

DATE
16-09-2023 dalle ore 10:00 alle ore 17:00

17-2023 dalle ore 10:00 alle ore 17:00

23-09-2023 dalle ore 10:00 alle ore 17:00

24-09-2023 dalle ore 10:00 alle ore 17:00

 

Ingresso con contributo libero

Pagamento tramite POS: no

Accesso animali: no. E' possibile lasciare il cane in custodia presso i volontari Pro Loco

PER INFO E PRENOTAZIONI

La centrale Carlo Esterle

Tra il 1910 e il 1914, per rispondere alla crescente domanda di energia elettrica di Milano, la società Edison costruì, appena a nord del ponte San Michele, la diga di Robbiate. Un canale di derivazione di 5 chilometri, quasi interamente in galleria, alimenta la centrale, che prese il nome da Carlo Esterle, primo consigliere delegato della società. Il fabbricato della centrale si trova nel territorio di Cornate d'Adda e a tutt'oggi continuano a funzionare le macchine originarie. La Centrale Esterle, che al visitatore appare più simile ad una villa patrizia che ad un fabbricato industriale vero e proprio, è particolarmente nota per la sua bellezza: l'edificio è costruito in stile eclettico lombardo con ornamenti elaborati, ripetuti motivi geometrici e floreali, lampioni e gronde in ferro battuto nonché imponenti vetrate goticheggianti.
Dal sito di Ville Aperte

PER INFO E PRENOTAZIONI


L'edicola dei Mort de San Cerech

Lungo la Strada Costiera che unisce Porto d'Adda e Villa Paradiso si trova, al centro di un piccolo spiazza dominato da due grandi tigli, un'edicola sacra dalle forme eleganti, contenente un'urna di vetro che conserva ossa umane.

La costruzione dell'edicola risale al 1928, su forte spinta dell'allora parroco di Porto d'Adda, don Giulio Ambrosiani, che voleva in questo modo sia onorare la memoria dei soldati di Porto morti durante il Primo conflitto mondiale (della cui fine ricorreva allora il decennale), sia predisporre una più degna sistemazione ai resti umani che erano già precedentemente lì conservati in una cappelletta fatiscente. Della costruzione si occupò la Società Edison, che applicò lo stesso stile architettonico adottato per la Centrale idroelettrica C. Esterle di Cornate, ultimata nel 1914: su scala ridotta si ritrovano le stesse colonnine e le stesse decorazioni a graffio.

Di particolare interesse è il nome con cui questa edicola è nota, "i mort de San Cerech”. L'origine è legata alla battaglia avvenuta il 15 agosto 1705 lungo le sponde dell'Adda, nei pressi di Cornate d'Adda, e che vide scontrarsi le truppe austriache guidate da Eugenio di Savoia e quelle franco-spagnole al seguito di Luigi Giuseppe, duca di Vendôme, durante la Guerra di successione spagnola (1701-1714). Lo scontro si sarebbe risolto con un nulla di fatto e i due eserciti si sarebbero infatti scontrati il giorno successivo nei pressi di Cassano, ma la battaglia sarebbe rimasta profondamente impressa nella memoria storica di Porto d'Adda.

Ma chi è questo San Cerech? Per saperlo bisogna conoscere meglio uno dei due comandanti che si scontrarono quel giorno, Eugenio di Savoia. Nato e cresciuto alla corte di Luigi XIV, rimasto orfano del padre in tenera età e trascurato dalla madre, Eugenio venne indirizzato contro la propria volontà alla carriera ecclesiastica, venendo per questo soprannominato le petit abbé de Savoy, "il piccolo abate Savoia". Questo soprannome lo accompagnò anche quando abbandonò Parigi per Vienna, sdegnato dal netto rifiuto di Luigi XIV alla sua richiesta di abbandonare la carriera religiosa a favore di quella militare, per cui si sentiva portato. Il soprannome lo seguì anche nel 1705, quando scese in Italia, ormai quarantenne e con alle spalle una gloriosa carriera militare nell'esercito asburgico di Leopoldo I, per portare aiuto al cugino Vittorio Amedeo II di Savoia, assediato a Torino dai francesi. In Lombardia abbé si trasformò in cerech, il "chierico". Dopo che le ossa dei mort del Cerech furono raccolte e sistemate nella precedente cappelletta, fu la devozione popolare a fare poi il resto: gli abitanti di Porto che si recavano presso l'edicola a invocare la pioggia durante le estate secche iniziarono, processione dopo processione, a chiamarlo anche "Santo", dimenticatisi ormai chi fosse veramente questo San Cerech.

Nel luglio del 2006 la Pro Loco fece prelevare dall'urna due campioni ossei di scatola cranica e li inviò ad un laboratorio scientifico in Florida per accertare, tramite analisi del Carbonio-14, la datazione dei resti umani. Con grande sorpresa, i risultati dell'esame datarono i frammenti ossei in due intervalli di tempo diversi a cavallo dell'anno 1000 d.C., e non, come si pensava, agli inizi del Settecento. Ciò significa che fra i mort del Cerech non sono presenti - forse - soltanto i soldati austriaci caduti il 15 agosto 1705, ma anche anonime figure di età medievali, morte in scontri di cui non si conserva più memoria. I loro resti ci sono però stati conservati dalla semplice ma salda devozione degli abitanti di Porto, che ritrovarono probabilmente le loro ossa durante i lavori dei campi.

Nel 2020 l'edicola è stata restaurata a cura della Società Edison.


Le Torri Medievali di Colnago

Colnago medievale è degnamente rappresentata da queste due possenti torri ancora in ottimo stato, ora adattate ad abitazioni ed uffici. Al loro cospetto non si può non rimanere affascinati dall’elaborata rifinitura esterna e dalla storia che traspare dai materiali che servirono alla loro costruzione: mattoni, ceppo e sassi dell'Adda.

Possiamo immaginare l'antico borgo cinto da alte mura, disseminate di torri a guardia del castello, la cui probabile struttura è ancora visibile nell'omonima via. L’intero complesso esisteva ancora nel XVI secolo, quando, venendo a mancare i presupposti per l'uso proprio cui erano destinati e deteriorati dall'abbandono, questi manufatti vennero abbattuti e i materiali riutilizzati per l'edificazione di abitazioni e ville di delizia.

La più antica delle due torri ancora rimaste è quella di via Carotte, risalente al XIII secolo. La base è interamente costruita in ceppo, tipica pietra della forra di Paderno, sassi dell'Adda e mattoni. La sua salvezza la deve probabilmente ai frati Umiliati che vi abitarono fino alla soppressione del loro Ordine, avvenuta il 7 febbraio 1571. Oggi è una residenza privata.

L'altra è situata in via Castello. La linea che collega idealmente le due torri passa lungo una via dal toponimo incerto, “Moia”, forse una storpiatura della parola latina moenia, "mura": la via potrebbe quindi ricalcare il tracciato delle mura abbattute. Non meno interessante è la storia della “via Carotte” (case rotte) che ci riporta in pieno Medioevo, al tempo delle Signorie, quando nell'anno 1277 la lotta, combattuta anche sulle nostre sponde, tra le potenti famiglie lombarde per estendere il loro potere sul territorio vide vincitori i Visconti sui Torriani, le cui case furono abbattute e senza possibilità di ricostruirle a futuro monito degli sconfitti.



Torre_Campanaria_Cornate

La torre campanaria della chiesa di Cornate d'Adda

Costruita presumibilmente tra l'VIII ed il IX secolo d.C., la torre campanaria della chiesa parrocchiale di Cornate d'Adda è il più antico monumento ancora visitabile del territorio cornatese.

La torre in stile romanico presenta monofore, bifore e trifore in buona parte murate ed alcune feritoie. I materiali di costruzione impiegati fanno parte della tradizione locale - ceppo, sassi e laterizi - a cui si aggiunge anche dell'interessante materiale di recupero: sul lato orientale si trova incastrata una lastra di copertura in serizzo di una tomba longobarda, mentre sul lato ovest è stata utilizzata, a guisa di davanzale di una feritoia, un'ara votiva di origine romana presumibilmente risalente al III secolo d.C. L'epigrafe presente sull'ara riporta le seguenti parole:

MATRONIS ET VICANIS C(aius) SEXTI(ius/cius) C(aii) F(ilius) CABARSUS V(otum) S(olvit) L(ibens) M(erito)

cioè “Gaio Sestio (o Sesticio), figlio di Gaio, soprannominato Cabarso, sciolse volentieri la sua promesse alle Matrone e alle Vicane". Chi fosse Gaio Sestio Cabarso, il "primo cornatese" di cui si abbia notizia, non lo possiamo sapere, ma possiamo immaginare si trattasse di un cittadino romano di origini galliche, come suggerirebbero sia il cognomen (Cabarsus) sia la sua devozione alle Matrone e alle Vicane (le divinità del vicus, del "villaggio"), divinità femminili di origine celtica la cui venerazione è riscontrabile altrove nel Nord Italia. Ai piedi del monumento sono presenti anche due tronconi di colonne romane risalenti al II e III secolo d.C., una con il corpo liscio, l'altra scanalato.

Osservando il campanile si nota nettamente come, in tutta la sua altezza, la parte sinistra della facciata orientale e la parte meridionale presentino una diversa disposizione dei materiali di costruzione, soprattutto per l'inserimento cospicuo di laterizi; secondo il parere degli esperti, verso la metà del secolo XVII la torre avrebbe subito ingenti danni, forse a causa di un terremoto o per eventi bellici, che sarebbero stati sanati con questa premurosa e rozza ricostruzione.

Nel 1764 venne aggiunta sopra la torre la cella campanaria (costruita completamente in mattoni). Le campane, tuttavia, sarebbero state installate solo nel 1810.

Recentemente un poderoso lavoro di restauro ha permesso il completo consolidamento della torre, soprattutto della cella campanaria, che ha reso il monumento visitabile fino alla sua sommità in particolari occasioni.


La Conca Madre

La Conca Madre è un edificio museale, situato presso la Conca omonima, che ospita installazioni informative che riguardano la storia del Naviglio di Paderno, ripercorrendone le tappe costruttive, dagli studi leonardeschi fino al progetto definitivo, realizzato da Pietro Nosetti sotto Maria Teresa d'Austria fra il 1773 e il 1777.

La Conca Madre è la quarta che si incontra lungo il Naviglio di Paderno, dopo Conchetta, Conca Vecchia e Conca delle Fontane, scendendo da monte verso valle.

La Conca Madre è anche un luogo la cui storia s'intreccia con quella del Naviglio. La chiusa che dà il nome all'edificio si trova in corrispondenza del punto del Naviglio in cui, sul finire del '500, Giuseppe Meda aveva scavato il grandioso "Castello d'Acque", una conca che doveva coprire un salto di 18 m. Successivamente essa fu rimaneggiata durante i lavori diretti dal Nosetti, che portarono al compimento del Naviglio nella forma in cui tutt'ora si presenta: il salto fu ridotto a 6,20 m, in modo da agevolare il transito dei barconi, e il numero complessivo di conche fu aumentato da due a sei. Il salto, pur così ridotto, è comunque il più alto dell'intero Naviglio, da cui il nome Conca Grande o Madre.

Fra il 1893 e il 1907, un arco di tempo che si sovrappone alla costruzione della centrale idroelettrica Bertini, l'energia prodotta dalla quale era destinata alla città di Milano, per sopperire al fabbisogno locale furono costruite sei centraline, ciascuna delle quali era in grado di sprigionare una potenza di 80 kW alla tensione di 1000 V, sfruttando i salti già esistenti nelle conche di navigazione.

La centralina più antica, costruita da Federico Wyttenbach nel 1893, andò ad alimentare il primo mulino mosso dall'elettricità in Italia. Dopo il fallimento di Wyttenbach, il quale aveva costruito altre tre centraline, il mulino passò alla famiglia Colombo e le centraline furono rilevate da Banca Briantea. Negli stessi anni, tra il 1898 e il 1907, Giovanni Battista Galimberti fece costruire altre due centraline, destinate all'alimentazione dei comuni circostanti e della tessitura Galimberti, a Osnago.

Nel 1962, in seguito alla nazionalizzazione degli impianti di produzione dell'energia elettrica, le centraline lungo il Naviglio di Paderno furono dismesse, e solo nel 2000 gli edifici di Conca Madre e Conca delle Fontane furono restaurati dal Parco Adda Nord e adibiti ad uso museale.


La Chiesa parrocchiale di S. Giuseppe a Porto d'Adda e gli affreschi di Vanni Rossi

A pochi minuti di strada dal fiume, si trova la chiesa parrocchiale di S. Giuseppe a Porto d'Adda, che nasconde, dietro all'architettura esterna sobria e modesta, un grande e inaspettato tesoro artistico.

La storia della chiesa di Porto d'Adda ha inizio poco più di cent'anni fa, nel 1919, quando il parroco di allora, Don Giulio Ambrosiani, diede inizio ai lavori di ricostruzione della precedente chiesa, di costruzione relativamente recente - era stata edificata infatti nel 1877 - ma già caratterizzata da gravi problemi strutturali, dovuti all'instabilità del terreno sottostante. Don Giulio, a Porto dal 1907, si era sempre speso a favore della proprio comunità, che ricambiava i suoi sforzi con affetto e rispetto: preoccupato che gli abitanti di Porto avessero un luogo di culto sicuro e degno di questo nome, il parroco iniziò quindi ad acquistare pezzo dopo pezzo i terreni attorno alla chiesa, non senza grandi sacrifici, per poter dare inizio ai lavori di ricostruzione. Difficoltà e impegni vari fecero però sì che i lavori si arenassero per lungo tempo. Nel 1922 il vecchio campanile dovette essere abbattuto, sostituito da quello attuale, progettato nel 1925 dall'Architetto Oreste Scavanini. Un forte e fondamentale impulso alla ripresa dei lavori si ebbe nel 1935, quando l'allora Arcivescovo di Milano, il cardinale Ildefonso Schuster, compì una visita pastorale nel piccolo paese di Porto: dopo essere informato da Don Giulio della condizione della chiesa, il cardinale spinse perché i lavori riprendessero e ne finanziò in prima persona una parte. Nel 1936, la vecchia chiesa venne abbattuta e iniziarono i lavori di costruzione, su progetto dell’Ing. Architetto Giovanni Maggi, coadiuvato dall’Architetto Oreste Scanavini (a suo tempo già progettista del campanile). Per la costruzione si utilizzarono i materiali tipici del luogo, mattoni cotti sul posto e ceppo dell'Adda. La chiesa venne ultimata e consacrata nel febbraio dell'anno successivo, il 1937. 

L’interno fu  inizialmente arredato in modo molto sobrio, grazie anche all’aiuto dei parrocchiani e allo stesso don Giulio, ma le pareti rimasero spoglie. Don Giulio si appellò alla buona volontà dei propri parrocchiani, che tante volte avevano risposto alle sue richieste d'aiuto, invitandoli a contribuire alla decorazione degli interni della chiesa. Non rimase inascoltato: i coniugi Guido e Pia Rossi, ricchi industriali e proprietari di Villa Pia, una grande e deliziosa villa estiva a Porto d'Adda, si assunsero l'intero onere, e chiamarono per realizzare il lavoro il pittore Vanni Rossi (1894-1973), bergamasco di Ponte San Pietro (BG). Il Rossi, assistito da Mario Clerici, affrescò tutte le pareti interne fra il 1940 ed il 1945. 

Le scene affrescate rievocano i fatti dell’Antico e Nuovo Testamento, con figure robuste, manieristiche, e colori vivaci e ben contrastati. Vanni prende come modelli dei suoi dipinti le persone del paese, creando ritratti veristi, in uno dei quali si può riconoscere il figlio del pittore, morto adolescente. L’estensione della facciata frontale interna permette al pittore di creare un Giudizio Universale degno di nota. Il tema è svolto con grandiosità, ad ammonire il fedele che lascia la chiesa e presenta di nuovo ritratti fisiognomici puntuali. In particolare si riconoscono due figure tra i dannati, Mussolini e Hitler, il primo colto in atteggiamento sofferente, il secondo ritratto con un serpente avvolto, gli occhi sbarrati a simboleggiare la follia.

Il mosaico sulla facciata esterna è invece del 1971, e rappresenta Sant’Ambrogio, San Giuseppe con Gesù Bambino e San Carlo Borromeo. Nella lunetta posteriore vi è figurato l’agnello di Dio da cui scaturisce il sangue, linfa vitale per gli uomini.


La Centrale Idroelettrica Esterle

Nel 1898, quando entrò in funzione la centrale Bertini, sembrava che la sua potenza fosse spropositata, e che l'energia prodotta sarebbe stata difficile da vendere. Ma solo pochi anni più tardi si rese necessaria la costruzione di un secondo impianto, più potente di quello precedente: la centrale idroelettrica Esterle.

Il 15 maggio 1914, quattro anni dopo l'inizio dei lavori, viene inaugurata la nuova centrale idroelettrica, intitolata all'Ing. Carlo Esterle, consigliere delegato della Società Edison. La centrale fu costruita poco più di un chilometro a valle della Bertini. L'opera di presa, denominata Diga Nuova, fu realizzata a Robbiate, un chilometro più a monte della diga di Paderno, che da allora venne chiamata Diga Vecchia.

Il nuovo impianto forniva energia alla città di Milano, alle industrie, alla tratta ferroviaria Monza-Lecco e ai paesi dell'hinterland. Durante la Prima Guerra Mondiale fu colpito dai bombardamenti austriaci ma, per fortuna, i danni furono modesti.

La centrale Esterle è un vero e proprio capolavoro dell'ingegno italiano ed è particolarmente nota per la sua bellezza. Siamo di fronte ad un esempio di architettura eclettica lombarda applicata all'industria. All'esterno dell'edificio predomina il rosso del mattone a vista e del cotto. I minuziosi ornamenti, il pavimento a mosaico, le colonne, i capitelli, i lampioni in ferro battuto, i gocciolatoi a forma di testa di drago, le vetrate e la base in ceppo dell'Adda la fanno apparire più come una residenza signorile che come un edificio industriale.


La Centrale Idroelettrica Bertini

La centrale idroelettrica idroelettrica Bertini, parte dell'omonimo impianto di Paderno, deve il suo nome all'Ing. Angelo Bertini, direttore generale della Società Edison tra il 1891 e il 1915. Si tratta della centrale idroelettrica più antica del gruppo Edison.; La progettazione dell'impianto idraulico fu affidata all'Ing. Paolo Milani, mentre quella dell'impianto elettrico al neo-laureato Guido Semenza, con la collaborazione di Galileo Ferraris e Charles Brown.

Al momento della sua inaugurazione, il 28 settembre del 1898, la centrale stabiliva un importante record: era il più grande e potente impianto in Europa, secondo nel mondo solo a quello delle Cascate del Niagara, negli Stati Uniti.

Per il suo funzionamento, la Bertini sfrutta l'acqua del fiume Adda incanalata all'altezza dell'incile del Naviglio di Paderno, dove si trova uno sbarramento chiamato, appunto, Diga di Paderno. Si tratta di una diga Poirée, costituita da panconcelli in legno, l'ultimo esemplare di questo tipo ancora operativo in Europa.

Lo scopo principale della sua costruzione era quello di alimentare, quindi elettrificare, la rete tranviaria di Milano inaugurata il 2 novembre 1893. Il 19 dicembre 1898, infatti, la linea di Porta Ticinese, l'ultima ad avere mezzi trainati da cavalli, fu percorsa da tram elettrici. Era un grande traguardo: Milano fu la prima città in Europa ad avere linee trasformate a trazione elettrica, intuizione dell'Ing. Bertini. 

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L'edificio è costruito con il ceppo dell'Adda, materiale molto usato nell'edilizia in passato, oggi non più estraibile. L'interno è arricchito con decorazioni della tradizione locale. L'impianto elettrico originario è rimasto in funzione per un secolo: nel 1999, le vecchie macchine sono state sostituite da altre di nuova tecnologia.

Due dei sei vecchi complessi turbina/alternatore sono stati conservati a scopo documentaristico, culturale e didattico. In quella che era la casa del custode, invece, è stato allestito un museo, in cui sono conservati disegni e documenti originali relativi alla progettazione delle centrali Edison del medio corso dell'Adda.


I tre Corni dell'Adda

Lo scorrere del fiume Adda non è quello di un normale corso d’acqua dalla vita tranquilla e scontata, ma quello di un fiume dalla personalità spiccata, che muta e si rinnova di continuo.

Uscita dal lago di Garlate e da quello più piccolo di Olginate, l’Adda scorre lenta, “in lucido serpeggiamento pur tra i monti che l’accompagnano” (è il Manzoni che ne parla in questo modo), in un fondovalle alluvionale. Poco dopo il ponte di Paderno, nella profonda e verde gola scavata lungo i secoli, il corso del fiume cambia improvvisamente. Una serie di rocce, speroni e dirupi interrompe il suo procedere placido e silenzioso, provocando rapide spumeggianti. Si trova qui, in territorio di Paderno, il caratteristico rilievo dei Tre Corni che spicca nell’alveo del fiume.

Qui, l’acqua, infrangendosi lungo le rocce in ceppo dell’Adda, crea vorticosi giochi e proprio a causa di questo tratto di fiume, già nel 1500 si era pensato di costruire un Naviglio che permettesse la navigazione ai barconi che venivano da Lecco. Questo tratto di fiume, per il suo fascino, per le sue problematiche, per i moti dell’acqua e per la bellezza naturalistica, ha ispirato anche il genio di Leonardo da Vinci.

Oltre a numerosi disegni e schizzi, oggi raccolti nel Codice Atlantico, che sono riconducibili agli studi che Leonardo faceva dei moti dell’acqua, e al progetto per il Naviglio di Paderno (ricordiamo che Leonardo ha soggiornato a lungo a Vaprio d'Adda, precisamente in Villa Melzi) i Tre Corni molto probabilmente sono stati l’ispirazione per il fondale paesaggistico della famosa “Vergine delle rocce” (1483-1486, Museo del Louvre). Osservando lo sfondo, oltre la caverna simboleggiante l’utero materno, con la caratteristica prospettiva sfumata del Genio, si riconoscono tre speroni rocciosi e un corso d’acqua che sono verosimilmente riconducibili ai Tre Corni.


La Rocchetta

Nel cuore dell'Ecomuseo «Adda di Leonardo», arroccato su di uno sperone roccioso, sorge un piccolo santuario immerso nella natura, il cui nome svela già le sue origini: Santa Maria della Rocchetta, dal castrum qui dicitur Rauca ("il fortilizio noto come Rocca") sui cui resti il santuario venne edificato. Campagne di scavi archeologici condotte tra il 1998 e il 2000 hanno permesso di riportare alla luce testimonianze che datano l'insediamento almeno al periodo tardoromano (V secolo d.C., epoca a cui è viene fatta risalire la cisterna emersa dagli scavi): all'epoca sullo sperone della Rocchetta doveva essere presente un piccolo fortilizio, edificato per controllare i guadi dell'Adda e - di conseguenza - la strada per Milano. L'insediamento continuò ad essere abitato nel periodo altomedievale, di cui ci è rimasta testimonianza grazie alla presenza di due tombe (ora coperte); al Basso Medioevo risalgono invece un forno e una seconda cisterna, databile al XIV secolo (anch'essi ora coperti).

Il santuario, per come appare oggi, risale al 1386, lo stesso anno in cui furono avviati i lavori di edificazione del Duomo di Milano, e la sua costruzione si deve alla volontà di Beltrando da Cornate, facoltoso medico milanese che fu anche fra i primi a destinare una donazione per il Duomo stesso. Grazie a Beltrando, la torre di avvistamento del fortilizio già presente, risalente al 400 d.C., fu parzialmente abbattuta, e i materiali furono utilizzati per costruire la parte absidale della chiesetta e gli alloggi per i monaci dell'Ordine di Sant'Agostino, cui Beltrando aveva donato il complesso. Un atto documentario del 1387 rivela che all'epoca il santuario era abitato dal priore e da soli altri tre monaci.

Quando, nei primi decenni del XV secolo, il fiume Adda divenne confine fra il Ducato di Milano e la Repubblica di Venezia, venne riscoperta l'importanza della Rocchetta come presidio strategico: Filippo Maria Visconti inviò dapprima alcuni soldati, poi fece edificare un ampio fortilizio che finì per inglobare il santuario, costringendo i frati agostiniani ad abbandonarlo. Nel 1484 il Generale dell'Ordine sancì la definitiva soppressione del convento. Nel corso del XVI secolo la fortezza abbandonata divenne un rifugio per ladri e banditi e per questo ogni struttura, ad eccezione della chiesina, venne abbattuta. Fonti documentarie ci confermano che questo avvenne dopo il 1610.